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Federico Valicenti ha un pregio. Quello che crea in cucina, prendendosi tutto il tempo necessario, lo fa con passione e quando trova elementi che arricchiscono la sua filosofia del cibo e dello stare insieme, suonano pentole, casseruole e mestoli come campane a festa. E la conferma di questo modus operandi e vivendi ce lo ha dato l’ultimo lavoro ” Dalla tavola al Paradiso”(noi lo scriviamo in maiuscolo) delle edizioni Magister, che abbiamo letto pagina dopo pagina assoparando ingredienti, pietanze, tra pagine dei sacri testi religiosi (dalla Bibbia al Corano)ed eventi storici e tradizionali: dalla Settimana Santa al Ramadan, dal Carnevale al Natale, dalla festa dell’Assunta alla commemorazione dei Defunti collegando l’area mediterranea all’Est europeo al Sud America. Se pietanze di grano bollito come i ”collivi”, simbolo di vita dopo la morte, preparate tra fine febbraio e inizio marzo, per la Quaresima Cristiana, sono da collegare alla ”coliva” romena, significa che la cultura dei popoli è accomunata a tavola da un sentire comune. E con la semplicità rituale e preparatoria che contraddistingue le nostre genti, ma partendo e pasteggiando con prodotti poveri ma nutrienti che le massaie prima di tutto e poi i cuochi hanno preparato per secoli in famiglia nel solco di una identità svilita e stravolta dalle maratone tv e di piazza commerciale dei cookingshow o dello starchefsystem. Il lavoro di una persona, coscienziosa e solare come Federico Valicenti, che per noi resta il “cuoco” conosciuto a Terranova di Pollino(Potenza) durante la Prima Repubblica, è uno stimolo a guardare al “da dove veniamo?” al ” Cosa lega spiritualità, religione, tradizione, genuinità e filosofia di vita? E spunti interessante per capire questo percorso vengono dalle ricercatrici Libera Valicenti e Simona Bonito con un antipasto di citazioni, riferimenti che aiutano a stimolare i cinque sensi a tavola e a ripristinare quello spirito di convivialità stravolto della dimensione ”isolazionista” creata dai social e da quella presenza fastidiosa – a tavola- di smartphone e tablet. Andrebbero, anzi, a tavola quegl attrezzi dell’innovazione da sempreconnessi alla ricerca del ‘campo’ perduto- quando non c’è segnale- vanno spenti. Una foto va bene. Ma un piatto di lagane ricce con la mollica che Federico descrive e consiglia per san Giuseppe, insieme alle zeppole, merita di essere gustato nella pienezza dei sapori e con un bicchiere di vino, per confrontarsi con gli altri commensali con i commenti tradizionali . ” Buono…noi ci aggiungiamo anche una goccia di olio santo…mia madre che era di Bella pure una scorza di formaggio..Però fa bene…Oggi con tutti questi cibi artificiali…ma non si ha tempo. Una volta…” Sono alcune delle frasi della cultura dello stare insieme e di gustare i piatti di una volta che non hanno prezzo e che nessun prodotto commerciale rappresentato da questo o quello chef ”stellato” che prepara piatti sopratutto belli da vedere, perchè oggi l’immagine è tutto, ma non è supportata da valori. Metteteci pure la foglia di prezzemolo, la goccia di aceto balsamico, l’onnipresente peperone crusco e la carota o patata decorata, ma mancano anima e storia del cibo e dei territori. Provate a entrare nelle cucine dei monasteri, in un caciolaio, un vecchio mulino, un frantoio,una casa colonica segnati dal fumo o dalla presenza di un Crocifisso, di una edicola votiva o dal ritratto di un Santo o di una Santa e vi verrà voglia, come è capitato a Federico, di chiedere degli uomini e della loro spiritualità e del legame con il cibo, spesso povero ma benedetto…Un viaggio a ritroso nel tempo che porta al Paradiso della buona e semplice tavoli dei popoli. A voi il piacere di leggere, ingrediente per ingrediente, queste ricette e il loro significato. E’ il primo passo, chissà, verso il Paradiso…